Incapacità lavorativa durante il rapporto di lavoro

Quando durante il rapporto di lavoro il rendimento diminuisce e una persona diventa totalmente o parzialmente incapace al lavoro, sorgono parecchie domande: quando un’assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia versa prestazioni sostitutive del salario?, per quanto tempo il datore di lavoro è tenuto a continuare a versare il salario?, ha senso annunciarsi già dopo poco tempo all’AI?, come reagire alla proposta del datore di lavoro di adeguare il grado di occupazione?

Questo capitolo si occupa del diritto al salario e alle prestazioni sostitutive del salario in caso di incapacità al lavoro dovuta a problemi di salute, presenta gli aspetti di cui tenere conto in caso di calo del rendimento e spiega come procedere nel caso concreto.


    Riduzione volontaria del grado di occupazione

    Se il carico di lavoro si fa troppo gravoso a causa di problemi di salute, una riduzione del grado di occupazione può essere la soluzione. Molte persone vi ricorrono volontariamente in considerazione dello stato di salute e per non rischiare di perdere il posto. Soprattutto a una certa età, questa è spesso una decisione ragionevole, nella misura in cui il datore di lavoro concordi e la diminuzione del salario sia accettabile.

    La riduzione volontaria del grado di occupazione diventa problematica quando la perdita di parte dello stipendio compromette il sostentamento. In simili casi, la persona interessata dovrebbe seriamente considerare se non farsi dichiarare parzialmente inabile al lavoro dal medico. Va tuttavia tenuto conto che spesso l’assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia versa prestazioni soltanto a partire da un determinato grado di incapacità al lavoro (p.es. il 25 per cento).

    La riduzione volontaria del grado di occupazione è un problema anche nell’ottica di un eventuale peggioramento dello stato di salute e del subentrare di un’invalidità vera e propria, perché l’invalidità delle persone che lavorano volontariamente a tempo parziale viene calcolata dall’AI secondo il metodo misto, il che comporta svantaggi per loro (cfr. al proposito il capitolo «Invalidità: concetto e calcolo»). Occorre altresì tenere presente che in caso di invalidità futura anche la previdenza professionale verserebbe minori prestazioni. Per evitare queste ripercussioni negative, il medico curante dovrebbe perlomeno menzionare esplicitamente nella cartella del paziente di avere raccomandato una riduzione del grado di occupazione per ragioni di salute.

    Esempio

    W. è infermiera diplomata e lavora a tempo pieno da molti anni in un ospedale. L’artrosi alle ginocchia le sta però rendendo sempre più difficile svolgere le sue mansioni. Dopo averne discusso con il medico, decide di ridurre il grado di occupazione all’80 per cento. Ne parla con il datore di lavoro, che si dichiara d’accordo e le propone anche di occuparsi di compiti amministrativi che può sbrigare da seduta. Il medico non certifica l’incapacità del 20 per cento all’assicurazione indennità giornaliera, dato che non avrebbe senso, considerato che questa versa prestazioni soltanto da un grado di inabilità al lavoro del 25 per cento. Nella cartella della paziente indica però chiaramente che la riduzione del grado di occupazione è imperativa per ragioni mediche.

    Quando è data un’incapacità al lavoro?

    È considerata incapacità al lavoro qualsiasi incapacità, totale o parziale, derivante da un danno alla salute fisica, mentale o psichica, di compiere un lavoro ragionevolmente esigibile nella professione o nel campo d’attività abituale.

    Un’incapacità al lavoro deve essere sempre confermata da un medico. Il certificato in questo senso deve di norma essere presentato al datore di lavoro al più tardi dopo tre giorni di inabilità lavorativa.

    Se non è di breve e temporanea durata, conviene concordare con il medico il tipo e la portata dell’incapacità al lavoro. Di regola, non è granché utile che il medico certifichi un’incapacità al lavoro di lunga durata per compiacenza, dato che nel suo rapporto agli assicuratori (assicurazione indennità giornaliera, AI) deve poi motivarla in modo convincente. Egli deve inoltre specificare che cosa intende esattamente con incapacità al lavoro: è sufficiente ridurre l’orario di lavoro o, dal suo punto di vista, sussiste anche un calo del rendimento?

    Esempio

    Finora, P. ha lavorato come impiegato per un’assicurazione. Negli ultimi due anni, la sua vista è calata parecchio e nemmeno con i mezzi ausiliari adeguati è più in grado di fornire la prestazione attesa. Fa molti errori e la sera soffre sempre di mal di testa dovuto alla tensione. P. discute a fondo dei suoi problemi con l’oculista, che alla fine certifica un’incapacità al lavoro del 50 per cento. Nel suo rapporto all’attenzione del datore di lavoro, il medico precisa che P. può continuare a lavorare tutti i giorni, ma non più di sei ore. A ciò si aggiunge che il problema alla vista rende P. più lento nello svolgimento delle sue mansioni. Nel complesso, il suo rendimento risulta compromesso nella misura del 50 per cento. Sulla base del certificato medico, P. percepisce metà salario, integrato da un’indennità giornaliera per l’incapacità al lavoro del 50 per cento.

    Se l’incapacità al lavoro è di lunga durata, l’assicurazione indennità giornaliera verifica se la persona non possa impiegare meglio la sua capacità lavorativa in un’altra professione. Un cambiamento in questo senso è considerato esigibile nell’ottica dell’obbligo di ridurre il danno. I medici curanti sono invitati regolarmente a esprimersi sulla capacità al lavoro in un mestiere «adeguato alla situazione». Se giungono alla conclusione che l’incapacità al lavoro sussiste anche in altre attività, devono fornirne una motivazione valida, altrimenti può capitare che gli assicuratori chiedano una perizia al loro medico di fiducia. Considerato che probabilmente in futuro saranno necessari vari certificati medici, è importante avere uno scambio franco con il medico curante.

    Diritto alle indennità giornaliere in caso di malattia

    La maggior parte dei datori di lavoro in Svizzera ha stipulato per i propri dipendenti un’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera in caso di malattia, la quale, in caso di incapacità al lavoro di una determinata portata (di norma almeno il 25 per cento), solitamente versa un’indennità giornaliera pari all’80 per cento del salario mancante.

    Non è affatto scontato, dato che in Svizzera continua a non esisterealcun obbligo di legge in questo senso. Diversi settori, come l’edilizia o la gastronomia, sono tuttavia disciplinati da contratti collettivi di lavoro, che impongono ai datori di lavoro la stipulazione di simili assicurazioni. Nei settori senza contratti collettivi, capita però sovente che soprattutto le piccole imprese vi rinuncino.

    I dipendenti hanno il diritto di sapere presso quale compagnia il datore di lavoro ha stipulato l’assicurazione collettiva e a quali condizioni. Il datore di lavoro è tenuto a fornire queste informazioni e, su richiesta, a consegnare una copia delle condizioni generali di assicurazione in vigore. Le clausole stampate in piccolo sono spesso di rilevanza fondamentale: in alcuni contratti, viene ad esempio stabilito che in caso di incapacità al lavoro dovuta a una malattia già esistente all’inizio del contratto di lavoro le indennità giornaliere vengono versate soltanto per un tempo limitato.

    Se, nel contratto di lavoro, il datore di lavoro si impegna a stipulare un’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera in caso di malattia (oppure se vi è obbligato da un contratto di lavoro collettivo), ma non lo fa, il collaboratore diventato inabile al lavoro per un periodo prolungato può chiedergli un risarcimento del danno pari all’ammontare delle mancate indennità giornaliere.

    Esempio

    S. ha sottoscritto un contratto di lavoro che prevede un’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera in caso di malattia. A causa di un tumore, S. diventa inabile al lavoro e scopre che l’assicuratore ha disdetto il contratto di assicurazione collettiva perché il datore di lavoro era in ritardo con il pagamento dei premi.Il datore di lavoro ha violato i suoi obblighi derivanti dal contratto di lavoro ed è quindi tenuto a risarcire il danno. S. può pretendere che egli le versi le stesse prestazioni che avrebbe ricevuto dall’assicurazione di indennità giornaliera.

    Se viene versata un’indennità giornaliera in caso di malattia, il datore di lavoro è esonerato dall’obbligo di continuare a versare il salario. Se non versa più il salario, non è nemmeno più tenuto a pagare i contributi per le assicurazioni sociali (in particolare AVS/AI/IPG). In tal caso, il lavoratore deve attivarsi da sé per versare alla cassa di compensazione i contributi di persona senza attività lucrativa. È importante che lo faccia per evitare l’insorgere di lacune contributive che potrebbero un giorno essere all’origine di prestazioni inferiori. Spesso capita però che il datore di lavoro continui – perlomeno per un certo periodo – a versare il salario e a pagare i contributi per le assicurazioni sociali.

    Il capitolo «Indennità giornaliera in caso di malattia» presenta altre regole determinanti per l’assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia.

    Diritto alle indennità giornaliere dell’assicurazione contro gli infortuni

    Tutti i dipendenti sono obbligatoriamente assicurati contro le conseguenze di un infortunio. Gli infortuni professionali sono sempre assicurati, anche con un grado di occupazione minimo e in caso di lavoro irregolare. Gli infortuni non professionali sono invece assicurati solo se una persona è alle dipendenze dello stesso datore di lavoro per almeno otto ore la settimana.

    L’assicurazione contro gli infortuni è stipulata dal datore di lavoro che, oltre a quella obbligatoria, può stipularne di complementari, in particolare per assicurare la quota di salari che eccede quella da assicurare obbligatoriamente. Il dipendente ha il diritto di sapere presso quale compagnia è assicurato contro gli infortuni.

    In caso di incapacità al lavoro dovuta a infortunio, l’assicurazione versa a partire dal terzo giorno un’indennità giornaliera pari all’80 per cento del salario, anche in caso di parziale incapacità al lavoro (l’indennità giornaliera è ridotta in proporzione).

    L’indennità giornaliera è versata fintanto che persiste l’incapacità al lavoro dovuta a infortunio e che dal trattamento medico ci si può attendere un miglioramento sostanziale dello stato di salute. Quando non è più il caso, l’assicuratore contro gli infortuni deve stabilire se sussiste il diritto a una rendita.

    Se viene versata un’indennità giornaliera dall’assicurazione contro gli infortuni, il datore di lavoro è esonerato dall’obbligo di continuare a versare il salario. Se non versa più il salario, non deve nemmeno più pagare i contributi per le assicurazioni sociali (in particolare AVS/AI/IPG). In tal caso, il lavoratore deve attivarsi da sé per versare alla cassa di compensazione i contributi di persona senza attività lucrativa. È importante che lo faccia per evitare l’insorgere di lacune contributive che potrebbero un giorno essere all’origine di prestazioni inferiori. Spesso capita però che il datore di lavoro continui – perlomeno per un certo periodo – a versare il salario e a pagare i contributi per le assicurazioni sociali.

    Il capitolo «Indennità giornaliera dell’assicurazione contro gli infortuni» presenta altre regole determinanti per l’assicurazione indennità giornaliera dell’assicurazione contro gli infortuni.

    Obbligo del datore di lavoro di continuare a versare il salario

    Se una persona diventa incapace al lavoro e non ha diritto a un’indennità giornaliera né per malattia né per infortunio, la legge prescrive che, se l’incapacità al lavoro è dovuta a malattia, il datore di lavoro deve pagarle il salario per tre settimane nel primo anno di servizio e poi per un «tempo adeguatamente più lungo».

    Questa disposizione è tuttavia applicata soltanto

    • se il rapporto di lavoro è durato o è stato stipulato per più di tre mesi e
    • se nel contratto individuale di lavoro non è convenuto un tempo più lungo e
    • se un tempo più lungo non è stato stabilito per contratto collettivo.

    Che cosa significa un «tempo adeguatamente più lungo»? I tribunali hanno precisato questa regolamentazione in diverse scale (scala bernese, scala zurighese, scala basilese), applicate individualmente dai Cantoni. Ciò significa che la durata dell’obbligo di pagamento del salario varia in funzione del Cantone. Per sapere quale delle tre scale è applicata nel luogo in cui si lavora, bisogna rivolgersi al preposto tribunale del lavoro o civile. Ecco un esempio con la scala bernese, quella applicata più di frequente: in caso di incapacità al lavoro, nel primo anno di servizio il salario deve essere ancora versato per tre settimane, nel secondo anno di servizio per un mese, nel terzo e nel quarto anno di servizio per due mesi, tra il quinto e il nono anno di servizio per tre mesi, tra il decimo e il quattordicesimo anno di servizio per quattro mesi e così via.

    Esempio

    T. lavora nella ditta X da cinque anni e due mesi quando diventa inabile al lavoro per un periodo prolungato. Il suo contratto di lavoro non prevede alcunché a proposito della continuazione del versamento del salario, il suo rapporto di lavoro non soggiace ad alcun contratto collettivo e la sua ditta non ha purtroppo stipulato alcuna assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia. Il questo caso, la continuazione del versamento del salario è disciplinata dalle disposizioni del Codice delle obbligazioni. Poiché la ditta X è domiciliata nel Canton Berna, fa stato la scala bernese, secondo la quale nel sesto anno di servizio si ha diritto al massimo ad altri tre mesi di stipendio.

    Tutte le assenze nello stesso anno di servizio vengono cumulate. Nell’anno di servizio successivo, il diritto alla continuazione del versamento del salario riparte nuovamente.

    Esempio

    dopo cinque anni e due mesi di servizio, T. è stato inabile al lavoro per dieci settimane. In seguito, ha ripreso a lavorare, ma poco prima dell’inizio del sesto anno di servizio si è nuovamente ammalato, questa volta per un periodo più lungo. Nel quinto anno di servizio, T. ha diritto alla continuazione del versamento del salario ancora per relativamente poco tempo, ma non appena raggiunge il sesto anno di servizio, ha di nuovo diritto a tre mesi di stipendio.

    Secondo la dottrina vigente e la prassi giudiziaria, in caso di incapacità parziale al lavoro il diritto alla continuazione del versamento del salario si allunga in proporzione, ma finora il Tribunale federale non si è ancora espresso sulla questione.

    Esempio

    dopo otto mesi di servizio, G. si ammala. Il medico le certifica un’inabilità al lavoro del 100 per cento per quattordici giorni, poi del 50 per cento per altre quattro settimane. La sua azienda non ha stipulato un’assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia. Nel primo anno di servizio, la legge prevede un diritto alla continuazione del versamento del salario per al massimo tre settimane. In questo caso, G. riceve il salario pieno per quattro settimane (due settimane di incapacità al lavoro al 100 per cento e due settimane al 50 per cento). Nelle ultime due settimane di parziale inabilità al lavoro, riceve ancora soltanto la metà dello stipendio.

    Quando occorre annunciarsi all’AI?

    Se l’incapacità al lavoro si prolunga e si presuppone che il danno alla salute sia permanente e impedisca di esercitare la professione nella misura abituale, è il caso di prendere seriamente in considerazione la possibilità di annunciarsi all’AI.

    L’annuncio all’AI è sempre raccomandato quando non si può trovare una soluzione adeguata allo stato di salute con il datore di lavoro. In simili casi, possono essere di aiuto gli specialisti dell’AI, che offrono una consulenza all’assicurato e al datore di lavoro su come adattare il posto di lavoro oppure organizzano la copertura dei costi per una riformazione professionale in seno all’azienda o per mezzi ausiliari volti a un migliore adeguamento del posto di lavoro.

    Esempio

    a S., contabile di una piccola ditta, viene un’ernia del disco. Continua a lavorare a tempo pieno, ma i dolori si fanno sempre più acuti, al punto che spesso è costretto a rimanere a casa. S. si annuncia all’AI. Dato che il medico curante raccomanda di lavorare più frequentemente in piedi, nel quadro dell’intervento tempestivo l’AI finanzia uno speciale scrittoio, così S. può mantenere sia il posto di lavoro sia il grado di occupazione.

    Esempio

    T. lavora in una fabbrica di finestre. A causa di un’artrosi all’articolazione della spalla, non è più in grado di eseguire la sua abituale attività manuale. Dato che il datore di lavoro non vuole perdere la sua collaboratrice, nel quadro dell’intervento tempestivo l’AI le finanzia tre mesi di corso di informatica, al termine del quale T. può lavorare nella gestione del magazzino e assumere altri compiti amministrativi. Con questa soluzione, resta nella fabbrica di finestre mantenendo lo stipendio e il grado di occupazione.

    L’annuncio all’AI dovrebbe comunque essere fatto se l'incapacità al lavoro perdura già da sei mesi. È infatti importante tenere presente che un eventuale diritto a una rendita AI nasce sempre solo sei mesi dopo essersi annunciati. Chi lo fa troppo tardi perde una parte della rendita AI a cui ha diritto, dato che di norma tale diritto nasce dopo un termine d’attesa di un anno dall’inizio dell’incapacità lavorativa.

    Esempio

    sei mesi fa, A. si è ammalata gravemente e da allora è inabile al lavoro al 100 per cento. L’assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia del datore di lavoro le versa un’indennità giornaliera pari all’80 per cento del salario. Anche se per il momento non entrano in considerazione provvedimenti professionali, A. dovrebbe annunciarsi senza indugio all’AI, e probabilmente anche l’assicuratore la inviterà a farlo. Se A. dovesse opporsi a tale invito, l’assicurazione indennità giornaliera può ridurre o persino interrompere le sue prestazioni.

    Adeguamento del contratto di lavoro

    Se un’incapacità al lavoro dura a lungo e non è più ragionevole aspettarsi che la persona possa riprendere a tempo pieno la sua attività, il datore di lavoro propone spesso un adeguamento del contratto di lavoro volto ad adattare le funzioni, il grado di occupazione e il salario alla nuova situazione. Che un datore di lavoro voglia continuare a occupare il dipendente nonostante la limitata capacità lavorativa è di per sé rallegrante, ma prima di firmare un nuovo contratto occorre chiarire determinati punti.

    La firma di un nuovo contratto di lavoro non pone problemi se la durata massima del diritto all’indennità giornaliera in caso di malattia (di norma 720 giorni) è esaurita. In tal caso, occorre unicamente verificare che la domanda di assegnazione di una rendita d’invalidità alla previdenza professionale sia stata depositata presso la cassa pensioni e che il diritto venga valutato sulla base del contratto previgente, risp. del salario assicurato finora.

    La faccenda si fa più complessa quando il datore di lavoro propone già prima dell’esaurimento del diritto all'indennità giornaliera un adeguamento del contratto di lavoro. In tal caso, il nuovo contratto andrebbe firmato unicamente se il datore di lavoro garantisce per scritto che l’adeguamento del contratto avviene per ragioni di salute, che il diritto (non ancora esaurito) all’indennità giornaliera continua a sussistere e che in caso di invalidità i diritti nei confronti della cassa pensione vengono valutati in base al contratto previgente. In simili situazioni, raccomandiamo di chiedere una consulenza giuridica prima di firmare il nuovo contratto.

    Esempio

    T. lavora da dodici anni per una ditta di distribuzione. L’anno scorso, un problema ai reni l’ha costretta a ridurre il grado di occupazione al 50 per cento e da allora è al beneficio di un’indennità giornaliera in caso di malattia. Purtroppo, non ci si può attendere un miglioramento del suo stato di salute nel prossimo futuro. T. ha già presentato all’AI una domanda di rendita. Il datore di lavoro propone a T. di passare a un altro reparto della ditta e di fissare un grado di occupazione del 50 per cento, e le sottopone un nuovo contratto in questo senso.  T. dovrebbe firmare questo nuovo contratto soltanto se è chiarito che la modifica contrattuale è dovuta a ragioni di salute, se il datore di lavoro le garantisce per scritto che l’indennità giornaliera le verrà corrisposta fino al termine del diritto e che un eventuale diritto a una rendita d’invalidità dalla previdenza professionale sarà determinato sulla base delle condizioni assicurative previgenti.

    Nessuno è obbligato ad approvare un cambiamento del contratto di lavoro. Chi si rifiuta di farlo deve tuttavia tenere in conto la possibilità che il datore di lavoro sciolga il rapporto di lavoro nel rispetto del periodo protetto previsto dalla legge e dei dovuti termini di disdetta. In questo contesto, va considerato che determinati contratti collettivi non consentono la disdetta fintanto che la persona percepisce indennità giornaliere in caso di malattia

    Basi giuridiche

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